Il progetto FOQUS si inserisce con una diversa e nuova strategia in importanti interventi di iniziativa associativa o di civismo attivo, che da molto tempo caratterizzano un impegno diffuso per l’emancipazione dei Quartieri Spagnoli.
L’area dei Quartieri Spagnoli è una parte del centro urbano di Napoli, costituita da una maglia di strade ortogonali, localizzata alle spalle del palazzo municipale, su di un declivio fra la mezza costa della collina della certosa di S. Martino e Via Toledo. Gli oltre 170 isolati, con quattro o cinque piani fuori terra, per essendo in diversi casi monocondominiali, sono più frequentemente divisi anche in più fabbricati con stretti corpi scale e piani tipo di uno o due vani. Complessivamente nei circa 600 condomini, sono presenti quasi 3.000 nuclei con circa 15.000 persone. Molte delle persone in difficoltà abitano nei 900 bassi (abitazioni a piano terra con uno o due vani e piccoli servizi) cui si alternano, ai piani terra degli edifici gli accessi di altre 150 abitazioni monofamiliari poste nei piani ammezzati.
Facendo cenno a uno scherzo sociologico, le quasi 4.000 famiglie dei Quartieri Spagnoli si possono suddividere in tre gruppi sociali fondamentali, cui negli ultimi anni si sono affiancate due nuove tribù.
Il gruppo più esteso è costituito dagli eduardiani, famiglie fondamentalmente “sane”, che utilizzano spesso la casa in affitto, con componenti a scolarizzazione contenuta, vivono di lavoro (spesso precario e non tutelato, o pubblico con basse qualifiche), partecipi della cultura popolare e – come nelle commedie di Eduardo De Filippo – sono colpite solo episodicamente da esperienze di devianza.
Le famiglie vivianiane, invece, sono molto più visibili, soprattutto le donne e i bambini occupano di più le strade e danno vita alle reti generalmente informali, spesso irregolari o del tutto illecite. In molte di queste famiglie, non raramente colpite da processi di cronicizzazione dell’esclusione sociale, i sintomi dell’alterità (elusione ed evasione scolastiche, scarso patrimonio di esperienze lavorative, maternità precoci, assistenzialismo pubblico, esperienze di detenzione, traumi e promiscuità familiari) sono ricorrenti. Appartengono a questo gruppo le diverse centinaia di famiglie che hanno componenti coinvolti nelle attività delle organizzazioni camorristiche, che peraltro negli ultimi anni hanno subito un qualche ridimensionamento.
Il terzo gruppo è quello meno numeroso e visibile: un basso e medio ceto di lavoratori, generalmente dipendenti pubblici, che vivono nel quartiere più come residenti che come abitanti, sopportando con difficoltà gli usi (e abusi) degli altri gruppi. Mentre i figli dei primi due gruppi sposandosi emigrano malvolentieri, generalmente in quartieri degradati della prima e seconda periferia, i giovani del basso ceto medio associano la promozione sociale alla emigrazione in altri quartieri. Ovviamente si riscontrano molte reti familiari che attraversano almeno due di questi gruppi.
Mentre la compresenza di questi tre gruppi si è sostanzialmente riprodotta, anche dopo il terremoto del 1980, senza provocare traumi evidenti, l’arrivo di altri due gruppi sociali prospetta uno scenario di possibile, futura polarizzazione sociale.
Gli immigrati, regolari e non, sono in crescente espansione, occupano come nuovi inquilini i terranei prima utilizzati dalla prostituzione o come depositi. Alcuni nuclei più radicati però dopo alcuni anni di sacrifici, riescono a fittare abitazioni piccole ma più civili. In sordina, poi, un nuovo piccolo gruppo si sta insediando da alcuni anni: i nuovi borghesi proprietari residenti che, anche grazie al degrado del patrimonio edilizio, riescono a comprare e ristrutturare appartamenti a prezzo conveniente, accettando di sopportare alcune diseconomie locali in cambio di un’utilissima centralità urbana e un genere di vita gradevole per chi ama la vitalità della città antica più che quella razionalista.
Le tre parrocchie, la casa di Santa Maria Francesca che attrae molti devoti visitatori, i circoli ricreativi, i tre o quattro locali ove le donne del popolo giocano a tombola la sera e la notte, le sedi di un paio di partiti politici, e qualche nuovo ritrovo informalmente avviato da immigrati intraprendenti, riescono solo parzialmente a far fronte alle dinamiche di disgregazione che colpiscono soprattutto ragazzi e giovani, donne e anziani. Mentre è ancora diffusa l’abitudine di ricorrere all’usura per far fronte a periodi di difficoltà economica, la prostituzione, prima diffusamente presente nella parte bassa della zona, e l’economia che da essa si alimentava, sono ormai quasi del tutto sparite. È crescente invece l’approdo di nuclei di immigrati di diverse etnie con prevalenza di cingalesi e tamil. Le organizzazioni criminali che soprattutto negli anni Ottanta hanno rivelato un potere forte di aggregazione e movimentazione di risorse umane ed economiche, attualmente sono meno potenti. Molti di quelli che non sono stati ammazzati negli scontri fra bande rivali sono in carcere e le attività che presumibilmente continuano hanno una visibilità molto contenuta nella zona, anche se lavorando nello sportello sociale non è raro imbattersi in nuclei che – fra i diversi problemi – hanno il capofamiglia ancor giovane in carcere o al cimitero.
(tratto da: Giovanni Laino, Il cantiere dei Quartieri Spagnoli di Napoli, in Territorio, Rivista del DIAP del Politecnico di Milano, N.19, Franco Angeli, Milano, 2001 PP.25- 31).


